Caselli, basso e capelli


Nel 1966, si fa un gran parlare dei "capelloni".


I capelli lunghi diventano il segno più eclatante del desiderio, da parte della nuova generazione, di distinguersi da quella vecchia. E' rimasta leggendaria la frase con cui Mike Bongiorno chiamò sul palco gli Yardbirds, gruppo del grande chitarrista Jeff Beck, dalle cui fila passarono Jimmy Page ed Eric Clapton: "Sentiamo un po' cosa ci cantano questi capelloni, questi gallinacci".

Un taglio di capelli faceva la differenza: in tale contesto, il look con cui Caterina Caselli propose 'Nessuno mi può giudicare' fece epoca. "All'epoca avevo i capelli lunghi, del mio colore, castano. Al Cantagiro avevo provato a portare una parrucca con i capelli lunghissimi - ma non mi stava in testa, e quando c'era vento, la perdevo".
Il problema del look era sentito anche dalla casa discografica. Gianni Ravera ricordava: "La CGD per accentuare la modernità del suo personaggio l'aveva fatta esordire al Cantagiro vestita da astronauta. Un autentico disastro".
"Franco Crepax, direttore artistico della CGD, mi mandò nel salone dei Vergottini, dove andava la moglie. Cele Vergottini e i fratelli avevano questa pratica: ti vedevano e ti dicevano: 'Ma come fai ad andare in giro così, vergognati'. Poi mi dissero: 'Lei starebbe meglio in biondo'. Mi fecero una decolorazione - all'epoca faceva un male pazzesco, bruciava la pelle. Il primo commento che feci guardandomi allo specchio fu: 'mi sembra di essere un ufficiale tedesco'... Col mio nuovo caschetto biondo entrai in Galleria del Corso a Milano, dove incontrai Gianni Ravera. Mi conosceva bene, ma non mi riconobbe".

Quella sera cantai all'Intra's Club e Corrado Corradi, giornalista di TV Sorrisi e Canzoni, mi definì Casco d'Oro. Scoprii che il taglio piaceva un po' a tutti. Io ero un po' titubante: mi induriva moltissimo come tutti i tagli netti di capelli. Ma allora non era importante la bellezza, era importante colpire il pubblico. Il giorno dopo, in qualsiasi posto andassi, la gente mi riconosceva per strada, mi chiamava per nome. Non mi sembrava vero. E dicevo: ma come è possibile?"

Evidentemente, c'era tutto: non solo la canzone giusta, ma anche il giusto look, come testimonia un'intervista a Bolero del 1966: "Dopo Sanremo ho ricevuto tante proposte di contratto, tante lettere. Gente che mi scrive brava, gente che mi chiede persino dei soldi - ma soprattutto gente che mi domanda della mia pettinatura. Decine e decine di ragazzine mi hanno fatto sapere che si faranno tagliare i capelli come i miei. E altre mi hanno chiesto se porto la parrucca".

Al di là della chioma, un altro elemento rivoluzionario nell'immagine di Caterina Caselli era rappresentato dal basso elettrico Fender, da lei sfoggiato fin dal 1965. "Il basso mi è sempre piaciuto. Poi era necessario: un po' perché io non riuscivo a star ferma e cantare, mi dovevo dar da fare - poi, avevo capito che per essere utile in un quartetto che suonava nei locali bisognava fare qualcosa di più che cantare e suonare il tamburello. Mi dicevo: se riesco ad essere qualcosa di più che una semplice cantante, magari ho più possibilità di essere ingaggiata… Quando si trattò di incidere il brano dei Them, 'Baby please don't go', avevo ormai una tecnica spaventosa. In sala di incisione c'era un bassista 16enne alle prime armi, e il brano era veramente difficile, per cui finii per suonarlo io… Oggi le ragazze sono padrone della loro musica, sanno suonare - ma ai miei tempi era rarissimo. Io suonavo il basso e il vibrafono, conoscevo la musica, caricavo gli strumenti sul pullman, ero una del gruppo. In Emilia fu tutto piuttosto facile: c'era la tradizione delle balere, c'erano molti gruppi che suonavano nei locali. Ma il resto d'Italia era un altro mondo. Quando andai per la prima volta a suonare al Capriccio di Roma, non capivano perché non mi spogliassi. Non si aspettavano che una ragazza facesse la musicista e non la 'vedette'".

Un altro elemento nel suo modo di presentarsi che finì per colpire l'immaginazione degli spettatori di Sanremo '66 fu il frenetico movimento delle mani della cantante. Leggenda vuole che i gesti della cantante fossero ispirati dallo stile con cui la nonna mungeva le mucche. "Possibile che nessuno mi dicesse di stare un po' più ferma e quieta? Questa è la prima cosa che mi viene in mente rivedendomi, mi muovevo troppo, agitavo le mani come una pazza. Però, riflettendo, mi rendo conto che ero giusta nel tempo, esprimevo la vitalità di allora, dell'Italia spensierata del boom. Come tanti giovani, sentivo il fascino della cultura angloamericana, la minigonna, gli atteggiamenti spregiudicati. Nessuno ci crede, ma ero - e sono - molto timida. Salivo sul palco e il rapporto di comunicazione intensa che si creava con il pubblico dei ragazzi era così forte che faceva sparire ogni timidezza. La trasgressione era nell'abbigliamento, nei modi scatenati. Mia madre mi contestava, avevamo belle risse, ma io sapevo che se qui ero fuori dagli schemi, a Londra tanti giovani erano come me, e poi sapevo che non facevo niente di male". (da "La Repubblica", 1998)