"Oggi, quando mi metto a scrivere le mie canzoni, certe cose sento di averle già dette, già scritte. E allora, mi viene più naturale scegliere le parole con avarizia. E di dedicarmi con più generosità all'elaborazione della musica, agli arrangiamenti, alla ricerca dell'impaginazione musicale più adatta a ogni singolo episodio".
(Paolo Conte, 1992)


1992 - P.Conte, Ed. Sugarmusic/L'alternativa


L'album di Paolo Conte "900"

  

'Gong ho', inclusa nell'album 'Novecento' (1992) è una delle più felici e 'filologicamente corrette' passeggiate di Paolo Conte sotto le 'stelle del jazz'. In questo caso il jazz è quello quasi primordiale delle prime band, del suono di New Orleans, delle atmosfere che Conte ha cercato di descrivere nel suo "musical pittorico" 'Razzmatazz'.

"Il mio sogno di musicista era tornare indietro all'età d'oro del jazz. Al periodo classico, nel cui olimpo ci sono Louis Armstrong, Art Tatum, Fats Waller, la stagione che per me si chiude con il 1937: con l'arrivo del be-bop, l'irripetibile istintualità di quei grandi si sarebbe perduta".

Tra i 'grandi', c'è Sidney Bechet, con cui l'autore immagina di conversare attraverso il linguaggio antico della musica. Eccolo precisare l'ispirazione che lo ha guidato in una conversazione con Giacomo Pellicciotti de La Repubblica:

"In uno dei brani più accattivanti dell'album, Gong Oh, il cantautore cita il nome del leggendario batterista Chick Webb, ma in realtà pensa al sax soprano languoroso di Sidney Bechet e al romantico quartiere delle luci rosse di New Orleans. Bofonchia il maestro: 'Io scrivo sempre la musica prima del testo, e in questo caso m'è venuta voglia di ricreare un linguaggio che ho sempre adorato, quello di Bechet appunto. Mi sono dato da fare e, tramite il mio manager francese, ho rintracciato questo sassofonista più vecchio di me, Marc Laferriere, che ricorda molto da vicino il suono di Bechet'".

Per capire l'ammirazione - ma anche la prospettiva critica da vero conoscitore - con cui Conte guarda allo scomparso jazzista, è il caso di riportare questo passaggio scritto dal cantautore medesimo, tratto dal volume "Conte - 60 anni da poeta" (Federico Muzio Editore):
"Negli anni '50 Bechet aveva lasciato l'America e si era stabilito definitivamente in Francia, dove venne accolto con grandissimo affetto. (…) Ora, la vecchia regola creola, strumentale, secondo cui non la tromba, come era prassi normale delle bande tradizionali, sostenesse la parte principale e melodica in orchestra ma piuttosto il clarinetto, venne riproposta da Bechet in una formula esasperata: cioè il suo sax soprano, che è uno strumento per natura abbastanza strano, un ibrido che unisce il drive della tromba alle sinuosità e al dinamismo del clarinetto…il suo sax svettava sopra tutti gli altri con un cantabile che aveva l'autorità lirica e strappacuore che ha il clown bianco nel circo e tutti gli altri erano soltanto un fondale e tutti suonavano in funzione sua, di lui Bechet, primadonna, soprano, un fauno melodrammatico e incandescente".

Il pezzo, apparentemente poco ambizioso e piuttosto trascurato dalla critica, è in realtà uno dei più amati da Conte, che ne ha fatto un appuntamento quasi irrinunciabile nei suoi concerti, oltre ad averlo preteso nel disco con cui qualche anno fa si è presentato al pubblico americano.