Dal 1930 al 1935 il genere è bandito dall'Eiar, la radio di Stato.
Nel 1936 c'è una parziale apertura, a patto che ogni riferimento
all'America venga accuratamente evitato. In questo modo, 'St.Louis blues'
diventa 'Le tristezze di San Luigi', e 'Stardust' diventa 'Polvere di
stelle' - mentre il suo autore, Carmichael, acquista il misterioso nome
'Ugo Carmelo'. Ma attorno alla musica degli afroamericani rimane un
pesante clima di sospetto: chi la ascolta e la suona non è ben
visto. Gorni Kramer e quelli come lui si ritrovano quindi a cercare
espedienti per permettere al genere di "passare" senza far
troppo chiasso. In questo modo, nel 1936 Kramer incide quello che è
forse il primo 78 giri italiano di jazz, nascondendolo abilmente sotto
una canzone popolare milanese.
L'insolito connubio, per di più, avviene nel solco di una indiavolata
composizione orientaleggiante intitolata 'In a persian market', scritta
da Albert Ketèlbey, compositore inglese in auge negli anni '20,
al quale si devono musiche dalla vivida capacità descrittiva
(ad esempio, 'In a monastery garden'). Stando al critico jazz Luigi
Onori, Kramer, il pianista Romeo Alvaro e il chitarrista Armando Camera
riarrangiarono 'In a persian market' inserendovi la nota filastrocca
meneghina. In verità esistono due ricostruzioni della storica
incisione. Secondo Gianni Borgna ("Storia della Canzone Italiana",
Mondadori) "nel disco Columbia sotto la denominazione Orchestra
del Circolo dell'Ambasciata di Milano figurano Libero Massara, Romero
Alvaro, Nino Impallomeni, Ubaldo Beduschi e, come voce, Vittorio Belleli.
Kramer, dopo il ritornello cantato in coro con Massara, Alvaro e Belleli,
si esibisce in un assolo di perfetto stile 'scat'". Viceversa,
secondo Onori ("Jazznet"), "Camera e Kramer cantavano,
mentre Alvaro improvvisava in stile 'scat'". Chiunque fosse il
vocalist della parte finale tra Kramer e l'imprevedibile Alvaro, quello
che è certo è che in modo del tutto inedito la vecchia
canzone folk si ritrovò a fare da veicolo per uno stile vocale
tra i più originali del jazz, lo 'scat', con la voce usata come
strumento per emettere rapidamente sillabe prive di alcun significato
se non quello musicale.