"Le quattro divinità del piano sono
Fats Waller, Earl Hines, Teddy Wilson e Art Tatum."

(Paolo Conte)

ascolta il brano 1987 - P.Conte, Ed. Sugarmusic/L'alternativa

 

 


La copertina del disco



 

"Una volta feci un pellegrinaggio pianistico a Stoccarda. Ero lì per un concerto e ne approfittai per vedere la ditta che costruì il pianoforte di mio padre: un mezzacoda Schiedermayer-Stuttgart degli anni Trenta. Per tutta la vita ho avuta questa scritta sotto gli occhi. E siccome tutte le mie canzoni sono nate su questo pianoforte, che è il ricordo vivente di mio padre, ho voluto vedere dov'era stato fabbricato. Era un po' come tornare a casa. Disgraziatamente, in Germania come altrove, le cose sono cambiate. Questa fabbrica non esiste più. Volevo provare un istante di tenerezza, ma ormai era tutto finito…".

Nel ventennale della sua carriera di compositore, era inevitabile che Paolo Conte rendesse omaggio allo strumento che ha trasportato lui e milioni di persone in luoghi pieni di esotismo e magia, lontani dalla malinconia urbana di "Azzurro". Fu così che nel 1987 tale omaggio fu scelto per il titolo e l'apertura del primo album doppio di Conte - a detta della maggior parte dei critici, il disco della definitiva consacrazione. E se c'è un pezzo adatto a riassumere Paolo Conte, forse è proprio questo, in cui un piano da concerto ("a coda lunga, nero") naviga gentilmente in mezzo al mare, lasciando interdetti i passeggeri di un altrettanto avventuroso piccolo aeroplano, i quali davanti a "una storia molto complicata" si affrettano a tornare "nel bel mondo dal colore baio".

Molto efficace in proposito il commento di Enrico De Angelis sul volume "Conte": "Percussioni africaneggianti, un'eco di flauto andino, il colto pianoforte europeo, poi gli archi (elettronici), e la liberazione nella svelta batteria jazzata. In questa canzone la musica è protagonista anche nel testo, che curiosamente riprende una vecchia pervicace idea di Conte già testimoniata nel programma radiofonico 'Mocambo Bar' e nella poesia 'Il pianista del Madagascar': quel pianoforte nero naufragato in mezzo al mare, oggetto apparente di idolatria, in realtà segno umanissimo e poetico. Una canzone particolarmente ispirata, perché il pianoforte per Conte è mistero, arte, sentimento, eros. Proprio per questo l'aguaplano, o cosa diavolo è, vira e se ne torna indietro: c'è quasi sempre in Conte una chiusa sdegnosa diffidenza a concedersi, ad abbandonarsi, che verrà sì da paure, sdifucie, motivate timidezze esistenziali, ma pur sempre trasformate in calcolato isolamento. Lui lascia capire, che sa che sa che sa, intuisce e descrive l'erotismo, ma non lo realizza".

 
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