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Il
mandolino
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Cartolina
musicale particolarmente accattivante, il cui testo venne scritto da Leo
Chiosso (che già aveva celebrato l'altra estremità della
riviera ligure proprio con Johnny Dorelli, grazie a 'Love in Portofino')
nel 1960, dopo essersi ripreso dalla perdita dell'amico fraterno Fred
Buscaglione.
Avvalendosi di un arrangiamento dall'impeccabile leggerezza 'vacanziera'
di un Pino Calvi in vena di swing, consentì a Dorelli di mettere
in mostra le sue potenzialità di interprete brillante, con buona
pace di chi lo accusava di "appoggiare" la sua voce con esagerata
affettazione. Il 25enne cantante, lanciatissimo dalle vittorie sanremesi
al fianco di Modugno, era in effetti già da allora ai ferri corti
con i critici, che lo ritenevano troppo rigido per proporsi, come pareva
sua intenzione, nelle vesti di "crooner" alla Sinatra.
"Io piaccio al pubblico perché canto
come si parla",
ebbe a sfogarsi nel 1962 l'interprete brianzolo. "Non vado in cerca
di effettini o effettacci. Mi sforzo di presentare le mie canzoni con
la massima semplicità. Chi ama gli istrioni non può certo
ammirare me: gridolini e saltelli non sono affar mio. Per me la vera canzone
è sinonimo di semplicità e compostezza", concludeva
Dorelli, alludendo a Joe Sentieri, Celentano, Dallara e agli "urlatori"
in genere.
Particolarmente azzeccato l'inquadramento storico della canzone suggerito
dal critico Dario Salvatori, che ricorda come attorno al 1960 "gli
italiani scoprono la villeggiatura di massa a la motorizzazione non è
più negata a nessuno. Però continuano a sognare i luoghi
mitici e lontani da raggiungere, quelli sì, soltanto con l'immaginazione.
Anche se non lontanissima, Montecarlo ci rientra in bellezza, grazie anche
al nascente mito del principato". Di tale mito, e del celebre casinò,
fu tra l'altro vittima lo stesso Dorelli, che ha confessato di avervi
perso il cachet di due serate. "Da quella sera, col gioco ho chiuso".
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