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DC, PCI e una morale "che dirvi non so" -
"Il mio è un mestiere che bisogna affrontare ridendo,
se si vuol concludere qualcosa di serio".
(Vittorio Mascheroni)
Per
molti, 'Papaveri e papere' è la quintessenza della canzone sanremese
più frivola, una testimonianza dell'arretratezza culturale in
cui si voleva tenere l'Italia anni '50 - ma anche di un'imbarazzante
passione per la futilità mai estinta nel codice genetico degli
italiani. Ma non solo: con essa e con i grandi successi sanremesi (si
ricordi che Mario Panzeri era tra l'altro coautore di 'Grazie dei fior',
la prima vincitrice) si sarebbe compiuto un ritorno al passato, un salto
all'indietro di vent'anni verso le canzoni disimpegnate dell'epoca fascista.
Secondo Piero Brunello, docente di Storia Sociale e autore di "Storia
e canzoni in Italia" (ed. Comune di Venezia), l'intera operazione
sarebbe da considerare "un segno di continuità degli assetti
istituzionali e sociali dell'Italia repubblicana uscita dal fascismo".
Concorde, Gianni Borgna afferma: "in breve tempo, anche nella canzone,
si respirò nuovamente in Italia aria di deprimente provincialismo".
In pratica, mentre in USA il jazz diventava "cool" in attesa
della nascita del rock'n'roll, mentre in Francia emergevano Georges
Brassens e Juliette Greco, in Italia il Festival di Sanremo orientava
il gusto nazionale da un lato verso canzoni esageratamente sentimentali
e melodrammatiche, oppure verso una spensierata allegria di matrice
campagnola (nei primi due anni furono in gara 'Al mercato di Pizzighettone',
'La cicogna distratta', 'Al ritmo della carrozzella', 'Cantate e sorridete',
'Il valzer di Nonna Speranza'). In pratica, mentre la poesia e il cinema
(col neorealismo) si lanciano in nuovi territori, la canzone torna indietro
e mantiene il gusto popolare in un clima di perenne 'evasione'.
Eppure, 'Papaveri e papere' non era nata come una semplice filastrocca,
visto che l'autore del testo, Panzeri (specialista in liriche 'cifrate')
affermò esplicitamente di essersi ispirato alla politica. E sicuramente
non venne accolta come una semplice filastrocca. Come ha scritto Gigi
Vesigna, "Le parole vennero lette come riferite alla classe politica
e in particolare ad Amintore Fanfani, piccolo di statura, ma potentissimo
esponente della Democrazia cristiana". Un'altra lettura antigovernativa
è testimoniata da Dario Salvatori: "Quello stesso anno,
la campagna elettorale del PCI si basò su un manifesto in cui
gli alti papaveri democristiani venivano falciati dal vento rivoluzionario
del comunismo: la papera impaperata era il popolo vessato e senza scelta,
i papaveri alti, la DC".
Questa interpretazione sembrerebbe dare ragione alla tesi della continuità
con il ventennio: come allora, per fare passare una critica sociale
la canzonetta si mascherava da innocente filastrocca - e come allora,
l'indiziato era Mario Panzeri, che aveva messo dietro al 'Tamburo della
Banda d'Affori' cinquecentocinquanta pifferi - casualmente, lo stesso
numero di consiglieri della Camera del Fascio
Tuttavia, secondo Gianni Borgna ('Storia della canzone italiana', Mondadori)
per molti italiani il messaggio subliminale nascosto nell'impossibile
amore zoofloreale della favola fu di stampo ultraconservatore: "Una
morale decisamente rinunciataria, che predica rassegnazione a oltranza
e supina accettazione del proprio stato di inferiorità sociale".