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Un'immagine
di avanspettacolo
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Non deve sorprendere che
un grande successo del dopoguerra sia nato da un gioco di parole quasi
puerile ("mute Ande/ mutande).
La tradizione italiana, da 'In riva al Po' di Ripp ("in posizione
ti metto un po'
o mio tesor, qui siamo in riva al posterior")
del 1926 a Elio e le Storie Tese, passando per 'La pansè' di Carosone
(1953) e il 'Clarinetto' di Renzo Arbore (1986), è ricca di brani
costruiti su licenziosi doppi sensi. Interessante, in merito, la tesi
di Felice Liperi ("Storia della Canzone Italiana", Rai ERI)
su come i primi intrecci tra musica e comicità un po' grossolana
avvengano nei cafè-chantant: "Se in Francia si proponevano
il fascino e la raffinatezza, in Italia ha il sopravvento il clima a tinte
forti, e il caffè concerto viene presentato soprattutto come luogo
di peccato e di goliardie di studenti della buona borghesia.
Allo sviluppo di questa atmosfera aveva contribuito un provocatorio episodio,
avvenuto nel 1875, quando Luigi Stellato aveva lanciato una prima idea
di spogliarello attraverso la sua famosa 'A'cammesella', duetto tra due
sposini che devono ancora liberarsi delle timidezze adolescenziali. Da
allora in poi il palcoscenico del café-chantant italiano andò
affermandosi come 'luogo di perdizione' dove il pubblico andava per cercare
maliziose atmosfere. Per tale ragione spesso la fama di personaggi mitici
come Lina Cavalieri e Anna Fougez si costruiva utilizzando canzoni dal
soggetto audace e dai continui doppi sensi".
Conferma la tesi Gianni Borgna ("Storia della canzone italiana",
Mondadori): in attesa della definitiva affermazione di radio e televisione
come veicoli di diffusione della musica popolare, in ambienti come il
caffè-concerto e successivamente il tabarin, la rivista d'avanspettacolo,
"la canzone trova occasione di crescita in un ambiente scomposto
e libertino. Qui fa la prova generale come mezzo di comunicazione facile
e rapido".
Il genere era arrivato al culmine nel ventennio fascista ('Ti darò
quel fior', 'Era nata al Cairo' Ziki-paki ziki-pu', 'I pompieri di Viggiù'
solo per citarne alcune), e dopo il 1945 venne ricacciato dalla retorica
sanremese proprio dove era nato: sul palcoscenico del varietà.
Fu proprio un autore di riviste, Falcomatà, a comporre 'La paloma
blanca'.
Come racconta Paolo Limiti, "era un personaggio spiritosissimo, amava
particolarmente gli scherzi: basti pensare che ha ispirato i giochi di
'Amici miei' - su tutti, lo scherzo degli schiaffi alla stazione... Scrisse
'La paloma blanca' un giorno che si era recato a vedere uno spettacolo
durante il quale, causando ovviamente grande sensazione, a una ballerina
erano scese le mutandine mentre stava cantando". Falcomatà
propose immediatamente il gioco di parole "Senza le mute ande"
a Bixio Cherubini, il paroliere che con il quasi omonimo Cesare Andrea
Bixio aveva scritto brani allusivi come 'Alcova', 'Lucciole vagabonde',
omaggio alle passeggiatrici, e il celeberrimo 'Tango delle capinere' (con
le quali 'ognuno vuol godere'). Inutile dire che Cherubini non si oppose.
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